NICOLA VITALE
                      poesie scelte

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Da:
Intende l'ascoltatore
      Inedito, 1998-2003





Chi l'avrebbe detto
all'inizio del mondo
in conservati silenzi
che più indietro
anziché avanti
nella città
cadute sarebbero le cose
già camminando sui cocci
infelici, vergognandosi di essere infelici.
Ma camminando e camminando
qualche azzurro miracolo
come un breve messaggio
accadrebbe ...
Tutti insieme
trovandosi di nuovo
per un attimo sospesi sul rumore,
libero da qualche parte
sul sentiero di fragole
è il luogo
dove converrà andare.












Nella città confusa
dal sapere e dal partecipare
io guardo per aria
e tra le reti dei fili
vedo il cielo.
E' il chiaro di settembre
che pone domande indiscrete
ai nostri pensieri impigliati
nei contorni delle nubi.
Là Platone varcava
le soglie del Simposio
sognava un pesce
là giù un albero e una casa
poi, in fondo
cose indistinte d'avvenire.
Ma i contorni spezzati
hanno liberato i Cicloni
che in un confuso dare e avere
trasgrediscono le nostre previsioni
minacciano il diluvio.












Non è poi così lungo
il periodo che la mente
non vede
la vita è già finita
senza sorprese.
Eppure è trascorso di là
un alzare di voce
soffocato
lo strisciare dei passi
di quegli altri, mai visti
affiorare nello stesso condominio
come un tutto.
Alla fine
tornano i conti
si dice,
tutti sullo stesso pianerottolo
sulla stessa scala,
ma batto alla porta e non rispondono.
Allora mi viene nostalgia
degli amici
dell’incompreso apparire
e degli anni pieni di futuro
ora che il troppo tempo
a capire mi confonde,
ora che non cammino più
e tornano chiari
i sentieri
che dal piano portavano
senza motivo ai monti.












Resta una voce di tutti
a confermare
il senso delle parole.
Ma si sono tutte le lettere disgiunte
dall'eccessivo ritardo degli amici
che sognavo tornar su dall'ombra
in una festa…
Ecco, qualcuno ride
e non ricorda
ripropone un progetto…
riconosco il tono,
più chiara dell'aria
la presenza intatta
sulla bocca che si sfuoca.
Tarda ancora la voce scura…
voce senza voce
cosa faccio
in questo cerchio di luce
a quest'ora di negozi chiusi?












Non bastano queste ore di sonno
per calmare il giorno
bruciato come un bosco d'estate.
Tutta la vita ho lavorato
ma è rimasta irrisolta
la questione.
Solo quando si offuscherà la luce
giuste condizioni
potrò esigere
per condurre a buon fine
i giorni.
Ma oggi, domenica
si cambia l'aria
sembra il giorno di festa
una radura senza vento
dal cuore di luce
che trapela.
Allora una tregua
rischiara il paesaggio,
sembrano le parole
dare voce sensibile
alle cose
quando non era cominciata
la gita nel bosco
quell'estate.












Nel ripetuto risvolto del mare
i pesci appaiono
e scompaiono
confondono la forma
nel desiderio di essere acqua,
e là i nostri corpi
sono resi caldi dal sole.
In questo scambio irreale
elemento nuovo
è il tempo per pensare
traccia dei sentimenti
ritornati dall'esilio
nei modi più onesti
e più umani.
Ma tornato
tutto intero
per uno strano ripiegare
il pensiero
nella risacca si cancella.
Di nuovo
evidente e oscuro
risplende il mare.












E' la prima poesia
che a gennaio
depongo nella carta
vicino alle somme tirate
per concludere l'anno.
Lascio che si ritiri la neve
scoprirò disposizioni
delle mie nuove parole
quasi il gesto del seminatore
fecondasse
con fortuite combinazioni
i campi.
Molti sarebbero tentati
a qualche verifica opportuna
ma il freddo dell'inverno
ci sorprende
e non è il caso ora di discutere
se siano i semi
cicli di trasmutazione
o piovuti dal cielo delle idee.
Assecondiamo il tepore del fuoco
le parole crepitano verso l'alto
i gusci si spaccano nella brace.












Riposavo il corpo nel lenzuolo
e vigile la mente
confidava nella notte.
«Cullami» diceva, «fammi dormire»
ma insieme continuava una voce
a ricamare un suono modesto
mormorante.
Un'altra gola
aperta chissà dove
pareva la voce disseccata
dell'ansia
angelo ottuso senza testa.
Non era il contrappunto
dei ricordi
né prova del sogno imminente
era certo:
un corpo estraneo singhiozzava.
Poi vidi, povera
la cosa infelice
ero io
dimenticato nel lenzuolo.












Salvo dal pensiero
entravo là con il treno,
breve viaggio
in un mondo più semplice
fatto di cose d'apparenza
prive del sospetto
di un secondo senso.
Non è metafora
di questa campagna
l'avventura incerta degli insetti
nel campionario dell'orto
la mela caduta
che grida di spavento.
La vicenda è chiara:
la commestibile natura
si diffonde.
Zittita la controversia
sugli universali
mi chinavo così
anch'io sul cesto
conteso dai gatti
del terrazzo.












Nel guaio che piano cresce
ricevuto l'ultimo referto
ho compreso
le parole più semplici
che di noi dicevano:
«gettàti nel mondo».
Anche lui, Heidegger
se n'era quasi accorto
così lontano da questa Milano
cancellata dal rumore.
«Gettàti…» (si legge sulla pagina)
«non è che…»
nonno Tommaso sulla ciambella
zio Bruno caduto in bici…
da stupore, fatti
sostanza che non saprei.
E gli angeli affacciati
vedono il daffare
ma non sentono il giornale
che si accartoccia
non hanno il senso d'attesa
che noi tutti
uomini e donne, ci distingue.





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